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Isabella Cuccato è nata nel 1947 a Roncade, 

nella campagna veneta intorno a Treviso, e dal 1962 vive a Milano. Ha iniziato gli studi di architettura al Politecnico di Milano, dove ha seguito i corsi di storia dell’arte di Mario De Micheli, e li ha conclusi alla scuola di architettura di Venezia (Iuav), dove si è laureata nel 1978 con Aldo Rossi. Ha operato come architetto per circa un decennio, all’inizio presso gli studi di alcuni maestri milanesi: con Ignazio Gardella per diversi anni; con Marco Zanuso al progetto per il Teatro Strehler di Milano; con lo studio Albini-Helg-Piva al progetto per il Museo di Sant’Agostino a Genova. Ha inoltre lavorato con Daniele Vitale a progetti e mostre sia in Italia che all’estero. Su invito di Aldo Rossi ha partecipato nel 1981 alla mostra Architettura/Idea alla Triennale di Milano e nel 1985 alla Biennale di Venezia, con due progetti per la Rocca di Noale e per il Prato della Valle a Padova, ora conservati nell’Archivio del Centre Pompidou di Parigi. 

Dal 1987 si è dedicata per intero alla pittura, dipingendo a olio e con altre tecniche, su tavola e su tela, su parete e su soffitto. Ha tenuto mostre personali in Italia e all’estero, in Grecia, Spagna, Portogallo, Belgio. Nel 1993 a Martina Franca in Puglia ha esposto quadri di paesaggio e di interni. Del 1997 è la mostra al Palazzo Ducale di Mantova intitolata «Le storie le barche nel blu». A Lisbona nel 2000 ha presentato un ciclo di opere sui temi dell’architettura e ad Atene e Salonicco nel 2002 su edifici e paesaggi. I quadri esposti a Piacenza nel 2006 erano di tavoli, fiori e giardini. Ha dipinto in interni privati e pubblici e per spettacoli e fiere. Da molti anni lavora a un ciclo di tele di grande dimensione sulle tavole dei Quattro libri di Palladio. 

I dipinti di Isabella Cuccato sono ricchi di riferimenti alla pittura antica, ma anche legati alle esperienze e alle vicende dell’arte moderna. Lo mette in evidenza nel 1997 Giovanni Raboni, scrittore e poeta, parlando per i quadri di Mantova di «grandiose macchinazioni fiabesco-allegoriche» e sostenendo in generale che «Isabella Cuccato è davvero una pittrice “antica”, anche se il suo Mantegna e il suo Masaccio sono così naturalmente e audacemente compatibili con i Matisse dell’Hermitage». 

Ho un ricordo di quando ero bambina.

Intorno ai miei nove anni, un mattino dovevo recarmi da casa a scuola, entrambe perdute nella campagna tra muri altissimi di neve. La scuola era vuota e da sola ho disegnato un arlecchino gigantesco in scala naturale. Era stato un «corpo a corpo» con una figura altra da me, e che tuttavia mi apparteneva. L’arlecchino era l’angelo astuto e il caleidoscopio dei colori, che racchiudeva tutti nelle meraviglie del vestito. Da bambina disegnavo d’impulso e pensavo che da grande avrei fatto la pittrice. 

Per i casi e le occasioni della vita, anziché pittrice sono diventata architetto e mi sono laureata con Aldo Rossi. Da lui ho appreso una dimensione diversa del disegno e un altro modo di rappresentare il mondo. Lavorando da architetto, non amavo le attività della costruzione e del cantiere, ma componevo le tavole come fossero quadri. Dopo dieci anni, ho deciso di tornare alla mia passione di bambina. In un sogno ero sdraiata bocconi su un monte e lo abbracciavo, e ne coloravo con pastelli di smeraldo i prati, dando colore a un mondo che non ne possedeva a sufficienza. Da allora ho dipinto per temi e cicli, passando da paesaggi, fiori e giardini ad architetture, barche e figure umane. Nell’immaginare, influiva la mia educazione all’architettura. I quadri erano apparizioni. Avevo in mente i paesaggi e i fondali di Mantegna, con monti fantasticamente modellati su cui erano sospesi fortezze e palazzi, con città murate fatte di antico e nuovo, con rovine classiche che creavano paesaggi.  

Negli ultimi anni ho lavorato a una serie di grandi tele sulle tavole dei Quattro Libri di Palladio. E però, sono anche riuscita a fare della pittura un lavoro, e ne sono orgogliosa, perché nel tempo ho trovato dei committenti per i quali ho dipinto quadri e pitture d’interni, soffitti e pareti, pannelli da muro e da esposizione. Avere un committente costituisce una limitazione: significa accettare un tema, avere delle dimensioni, sottoporre un bozzetto, ma è anche un fatto positivo, perché costringe a misurarsi con un problema definito. D’altronde, non è sempre avvenuto così nella storia della pittura? 

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