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Gianni Contessi

PER ISABELLA CUCCATO, 

ARCHITETTO IN PITTURA

2006

Non vi è asprezza di pensiero in queste incantate creazioni di Isabella Cuccato. Vi è, piuttosto, il piacere della libera invenzione (per quanto controllata) che affronta pochi temi reiterati. Il che potrebbe anche far pensare al ripristino singolare di qualche «pittura di genere» che, oltre la soglia del Novecento storico, consenta garbati recuperi di un «mestiere» antico ma ancora praticabile negli spazi virtuali della rappresentazione intellettuale, della fantasia capace di accostamenti imprevedibili. 

    La natura morta capricciosa o il capriccio architettonico, che trascorre nella natura morta (ovvero gli oggetti che si fanno paesaggio come in certi dipinti di Giorgio Morandi, secondo quanto ebbe a notare Ragghianti) sono l’eredità di una frequentazione non distratta e tutta interna a una cultura che prima ancora di essere pittorica è «del progetto». Del resto, non si può dimenticare che Isabella Cuccato è architetto di formazione e la sua scuola è stata quella di Aldo Rossi. Ma nulla dei malesseri esistenziali e di quelli intellettuali del maestro tocca la pittrice che, nei modi di un «realismo magico» rinnovato, compone per mezzo dei suoi simulacri architettonici, le sue «città visibili» capaci di coniugare motivi o solo suggestioni dechirichiani e saviniani, nel nome di un’arte del comporre che l’artista veneta amministra con forte consapevolezza. È proprio la sapienza compositiva il punto di forza della pittura di Isabella Cuccato, la sua capacità di distribuire pesi e misure per consegnarli alla fissità calcolata dell’artificio. Anche i frammenti di paesaggio da cui scaturiscono o su cui sono posti torri, padiglioni e cabine minimalisti procedono da questa «necessità» dell’artificio e si manifestano anti-naturalisticamente come vuole una linea stilistica fantasiosa, capace di collegare Mantegna, Derain e un Balthus per una volta non pierfrancescano...

    Le invenzioni di Isabella Cuccato si prestano a un impiego decorativo che effettivamente la pittrice ha esperito frequentemente anche in sedi pubbliche. Rinnovando così una tradizione che negli anni fra le due guerre mondiali ha conosciuto momenti vivaci e sofisticati. E pensiamo soprattutto alla stagione dell’art déco che, in questo senso, ha lasciato testimonianze di grande eleganza, ma anche a certe opere di Gino Severini. 

    Tuttavia, il lavoro della pittrice veneta non è riducibile al solo ambito delle arti applicate. Anche altre sollecitazioni determinano le intenzioni, comunque narrative, di Isabella: e allora ecco le storie di mare e di barche, raccontate anch’esse con l’eleganza di una stilizzazione araldica che fa pensare a quella praticata, che so, da Pisanello o, in generale, dagli esponenti del gotico internazionale, oppure da Carpaccio. 

    Era un’ironia affettuosa, finora, il sentimento di una pittura leggera e gentile, sebbene qua e là tinta di sospensioni e trasalimenti appena un po’ inquieti, più accennati che veramente saggiati. Ma anche altri dipinti «di figura» più recentemente realizzati chiedono e, ancor più, chiederanno udienza e forse attesteranno una svolta o l’apertura di un percorso ulteriore parzialmente inatteso, fatto di composizioni più mosse, di disassamenti, di tinte più cariche e scure. E non sarà quell’«estetica-della-fruttiera-in-traverso» di cui parla Gino Severini nell’Autobiografia, ma una pittura-pittura connotata da inedite aggressività. 

Gianni Contessi, storico dell’arte

testo per la mostra Approdi e partenze, Provincia di Milano, 2005

poi nel catalogo della mostra di Piacenza, Terra aria, 2006

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